Da un punto di vista filosofico, all'interno del volume "The Origins of the Totalitarianism" del 1951 (trad. it. Le origini del totalitarismo, Edizioni di comunità, Milano, 1997) Hannah Arendt propone una interessante critica al pensiero ideologico tenendo ben presenti, tra l'altro, non solo i crimini del regime nazista, dalla cui follia è dovuta fuggire, ma anche presupposti e risultati dell'orribile dittatura dello stalinismo sovietico.
Il materiale storico proposto al lettore è di notevole portata, ma a Hannah Arendt interessa anche ciò che è, e non solo ciò che diviene, che nasce o che muore.
A tal proposito integra la visuale storica con quella filosofica.
La sola descrizione degli avvenimenti storici nel loro divenire le risulta insufficiente, inadeguata. Sulla scia originaria degli insegnamenti di Agostino d'Ippona, la pensatrice diffida della storia concepita come semplice successione di fatti, e propende per una visuale più ampia e profonda, dove la dignità dell'essere umano non corra il rischio di annullarsi nella mera transitorietà. In tale contesto il pensiero ideologico si impone attraverso l'uso pressoché esclusivo della facoltà logica, del cui abuso si sostanzia ogni forma di totalitarismo. Non a caso, sia Hitler che Stalin vengono considerati da Hannah come massimi maestri d'ideologia: se il primo infatti si vanta della freddezza glaciale del ragionamento, il secondo celebra l'inesorabilità quasi meccanica della sua abilità retorico-dialettica.
Con il termine "ideologia" Hannah Arendt intende la logica di un'idea, la cui materia di applicazione è la storia. Tale "idea", però, non è l'eidos, l'archetipo metafisico che Platone contempla con gli occhi dell'intelletto né il principio regolativo della ragione di Kant, bensì somiglia, piuttosto, ad un mezzo intellettuale attraverso cui la storia, vista come cronaca di fatti in perenne movimento, viene interpretata con la presunta infallibilità di una spiegazione totale, panacea di tutti i mali. La forma mentis dell'ideologo, fondamentalmente storicistica, risulta segnata da un vizio di natura logica; una forzatura razionalistica che porta la ragione umana ad esorbitare dai suoi limiti costitutivi.
L'ideologia diventa il crogiolo mentale delle forme totalitarie perché totalitaria è la componente fondamentale presente nell'ideologia stessa, che si sviluppa, per così dire, attraverso l'estremizzazione di una parte a scapito di un intero. La parte in questione è la capacità logico-razionale; l'intero, in questo caso, è la persona, con tutto il suo poliedrico bagaglio di inclinazioni, e legittime aspirazioni. Resa assoluta, la mente rimane isolata ed altro non può fare che giocare con se stessa. Il pensiero ideologico infatti pretende per sé la più egoitaria autosufficienza, rifiutando così gli insegnamenti dell'esperienza, sia essa interiore o esteriore.
Così applicata, la cosiddetta "idea" si trasforma in premessa, ossia in punto di partenza indiscutibile, su cui la logica attua un processo deduttivo. La verità diventa oggetto di metamorfosi continua e perciò si deve agire, di volta in volta, come se fosse vero.
L'ideologia, nata da un'idea priva di un autentico ideale (se con "ideale" vogliamo intendere ciò che fonda la storia, che è anche e soprattutto storia personale), non può che perseguire la costruzione di una realtà fittizia, impermeabile all'esperienza della realtà autentica, nel cui perimetro lager e gulag, ad esempio, diventano luoghi dove ogni forma di ingiustizia è attuata, in modo "scientifico", come forma di giustizia perfetta. A ben vedere, quella logica non è l'unica facoltà di cui l'essere umano è dotato.
La persona è anche sentimento, intuizione, volontà, intelligenza, libertà; solo attraverso la sinergia di tutte le sue parti costitutive che essa può tendere al proprio perfezionamento e quindi a una piena e costruttiva espressione di sé. L'ideologia totalitaria rifiuta la sinfonia, esigendo l'unisono: essa nega la sana poliedricità che costituisce la persona (e il mondo, che è in funzione della persona) nell'atto in cui la colpisce alle radici del suo stesso essere, negandole ciò di cui essa ha più bisogno: verità e libertà.
Ideologicamente, uso e abuso coincidono: si spalancano le porte alla dittatura del collettivo sulla comunità, della massa sul singolo, della coercizione sulla facoltà di scelta, dell'intellettualismo sull'intelligenza; l'imposizione sostituisce la proposta, la coercizione immobilizza la libertà di azione e l'opinione (pravda) veste i panni della verità. Per dirla con Georges Bernanos, è come se l'uomo, scacciato dal paradiso terrestre, volesse rientrarvi sotto forma di bestia.

Fabrizio Gualco